MAGIC HOUSE

 

 

TestI di Maria Will, Angelo Aschei, Alessia Bordoli, Stefania Briccola, Vincenzo Guarracino, Cecilia Liveriero Lavelli, Lorenzo Morandotti, Piero Regolatti, Manuel Rossello, Gianfranco Venturato

 

 

PERCHЀ L’IMMAGINE

 

L’aspetto che, nel progredire del lavoro, si è venuto evidenziando in modo sempre più preciso dentro alla pittura di Bruno Bordoli, conferendole specificità, si lega alla riflessione sul valore dell’immagine, intesa in quanto rappresentazione delle figure. La constatazione delle immutata e immutabile persistenza e validità del linguaggio iconografico ha il suo più netto riscontro nell’esperienza quotidiana, nella naturale tendenza cioè a trasformare la percezione delle cose in configurazione delle cose. Non di meno, è proprio attraverso un tale impianto comunicativo che si attua il superamento della dimensione sensibile e la moltiplicazione di significati e possibilità (raggiungimento, questo che non finisce di stupire, constatata, la forma visibile appunto). Per la ragione realistica e visionaria, sensale e oltremondana. Ancora una volta – dopo che , in precedenza, per tanti altri (e non di poco conto!) è stato così- anche nella personale formulazione che ne dà questo artista, le configurazioni del visibile continuano a valere dunque come il tramite più efficace verso l’invisibile: altrimenti detto, verso il nucleo profondo, il cuore delle cose. Forse, per intendere lo spessore della ricerca di Bordoli, può non essere inutile richiamare un accostamento sorto immediato, al di fuori di un’influenza effettiva o conscia, ossia la corrispondenza con l’opera di Osvaldo Licini. Con questo gigante della modernità, egli condivide infatti (quale verosimile frutto delle disciplina geometrico-astratta, valida per entrambi) la purezza delle stesure cromatiche, da qui l’amplificazione della forza espressiva del colore; così come la capacità di “sentire” e rendere manifesta nello spazio pittorico la presenza di esseri fantastici dalla natura ibrida – di uomini e di fantasmi, di angeli e demoni. Beninteso, il lirismo di Licini non ha riscontro con Bordoli, la cui voce è invece epica e tragica. Nondimeno la materia della loro poesia prende origine da luoghi contigui, dove il noto si confonde con il mistero. L’acuto bisogno di cercare, di toccare l’autentico, il vero – una preoccupazione rivelatrice della carica etica che nutre il lavoro di Bruno Bordoli – è testimoniato anche dal ricorso alla scrittura quale strumento per nominare le cose, laddove nominare equivale al grado iniziale della conoscenza. Tornare a stabilire un sistema di senso condivisibile della nella assordante babele odierna diventa compito che l’artista si assume come dovere: pittura e scrittura, immagine e parola concorrono perciò ad allineare tavole didascaliche per le nuove moltitudini analfabete nello spirito. Ma vi è di più: ciò che Bruno Bordoli persegue per mezzo del suo lavoro costituisce fondamentalmente una vigorosa contrapposizione all’imperante genericismo culturale. La consapolezza dell’importanza formativa che riveste, per una comunità di uomini l’immaginario stratificato nei secoli e consegnato di generazione in generazione – trasmesso in una con la vita stessa, fino a formare un universo referenziale suggellato da un “legame di sangue” – induce Bruno Bordoli a volersi, in quanto artista, come una sorta di compilatore di saga, come il custode e il cantore di una memoria dell’atavico, del profondo e delle radici. In questa luce, con l’opera unica in novantuno piccoli quadri, eseguita nel 2003 e posta sotto il titolo di Magic House, Bruno Bordoli segna un risultato estremo nella sua ricerca, facendosi – lui pittore colto, strettamente legato anche alla letterature, alla poesia in particolare – autentico pittore popolare. Il livello primario della figurazione, di matrice espressionistica, viene esasperato; il repertorio dei soggetti raccoglie un immaginario di derivazione varia – dal mito e dalle leggende, dalla religione, dalla cultura contadina, dalle carte da gioco, dalle credenze diffuse di origine spontanea e oscura: la sua universalità tuttavia sembra risiedere e giustificarsi nella sua enigmaticità. Non sarà poi certo casuale l’affinità con espressioni di arte popolare come gli ex voto e neppure quella certa conformità con l’universo infantile. Si tratta semmai di consonanze che sottolineano su quale piano di scoperta fiducia di vuole porre la comunicazione del pittore: la fede – se non come salvezza almeno come speranza – la magia come meraviglia e incanto, cessano di essere solo nozioni e diventano sentimento sentito. Quelle che Bruno Bordoli ha ordinato in sequenza nella sua Magic House sono personificazioni, allegorie, sono immagini che appartengono alla sfera del simbolo, a quel mondo parallelo cioè cui da sempre si demandano le questioni più importanti e vitali e al quale si chiedono risposte, pur anche sfuggenti o sibilline esse possano risultare. Lo stesso paesaggio – lago, montagne e boschi, immediatamente riconoscibili per quel lago, quelle montagne e quei boschi fra cui è nato e vive Bruno Bordoli – è metafora d’altro, annuncio di rivolgimenti. Trasformato dalla luce del crepuscolo, acquista bagliori che sembrano provenire dal ventre, dagli inferi della terra: annuncio di rovina o promessa estasi? Non si può ignorare infatti che al fondo della pittura Bordoli agisca anche un pensiero messianico: ciò che non fa altro che qualificarne l’opera nella linea di un’arte umanamente impegnata. Non un’arte che sentenzia tuttavia, ma un’arte che interroga, dialoga e si nutre delle letture che altri possono apportarvi. Così il mosaico di Magic House non è più l’opera di un unico autore poichè alla sua pienezza concorre l’apporto dello sguardo e del cuore di chi si rispecchi nell’una o nell’altra delle novantuno tessere. Non diversamente avviene per gli ex voto, in cui l’intenzione del graziato precede e muove la mano dell’artefice. Ma una diversa, non meno marcante analogia, si impone per questo lavoro che ha occupato e preoccupato Bruno Bordoli sull’arco di parecchi mesi, quella con le figure di un gioco di carte. Al pari di queste, il successivo allinearsi e scoprirsi in una tavoletta dopo l’altra ha l’imprevedibilità e la fatalità delle leggi capricciose che regolano il gioco. Dunque è intorno alla fortuna che Magic House in definitiva è costruito, intorno a questa entità fatale, che finalmente domina la vita, il sogno – o l’incubo incendiato – di cui la vita consiste- Allora, nel terreno peregrinare, il conforto di un’immagine che è simbolo che diventa amuleto, può illuminare un destino.

 

Maria Will