PICCOLA PASSIONE

 

d’Après Dürer

 

 

A cura di Paolo Biscottini

Edizione a cura di Oreste Gentini e Philippe Daverio

Museo Diocesano – Milano

 

 

Il soggetto interpella inequivocabilmente l’arte contemporanea. Non c’è dibattito sull’arte figurativa o non, che possa prescindere da ciò. Ma se si tratta di arte sacra la questione si fa più complessa e coinvolge l’argomento immagine. Il recente caso della rana crocifissa di Martin Kippenberger installata proprio nell’atrio del museion di Bolzano, offre ampie ragioni circa la gravità e l’attualità dell’argomento.
Tradizionalmente l’arte si è affidata ad un’iconografia che si è perpetuata nel tempo. Così l’Annunciazione, le scene della Passione, etc., hanno costituito un ininterrotto fluire di immagini facilmente comprensibili, al di là dei secoli, negli stili, del gusto e delle scelte stesse di ogni artista.
Ma come l’Ulisse di Joyce ci appare difficile per l’adozione di un codice narrativo e linguistico totalmente nuovo, chiaramente in rottura con ogni precedente, l’arte del 900 ha interrotto questa tradizione iconografica introducendo codici linguistici nuovi, che hanno finito con rendere difficilmente interpretabile l’opera e, nel campo sacro, reso problematico il rapporto esistente con la Chiesa e con la devozione. Picasso diceva che il problema dell’artista consisteva anche nel l’invenzione di nuovi soggetti, non volendosi più affidare a quelli consacrati dalla storia dell’arte. Il suo problema consisteva nella ricerca di un rapporto nuovo col suo tempo e di una nuova concezione dell’arte, anche sotto il profilo conoscitivo interpretativo.
Bruno Bordoli si affida invece ( e il caso è davvero insolito oggi) all’iconografia della Passione di Nostro Signore desumendola da Durer.
Non al tema della passione semplicemente Bordoli guarda, ma a quella Piccola Passione che Durer ha realizzato fra il 1509 e il 1510 in 30 xilografie.
Affidandosi a Durer e ponendosi in sintonia con le sue immagini, Bordoli, riesce a ritrovare il senso attuale della Passione, rinnovandone, con un linguaggio inequivocabilmente suo, la forza espressiva e comunicativa.
Ma perché Bordoli guarda a Durer? e soprattutto perché a questa Piccola Passione? Panofsky (1967) ci spiega che la passione di Durer “accentua il lato umano della tragedia, dall’ira stupenda della Cacciata dei mercanti dal tempio alla calma tristezza della Lavanda dei piedi e alla crudele violenza della Derisione;
mentre la narrazione nel suo insieme ha la ridondanza di uno dei Misteri popolari, i singoli episodi sono raccontati in modo conciso diretto. Il trattamento è pieno di forza ha capito della delicatezza, il pittoresco e la ricerca psicologica sono stati soppressi a favore di emozioni forti e semplici.”Emozioni che Bordoli deve aver avvertito Come sue accingendosi ad un lavoro di trascrizione da Durer, di cui conserva l’impianto formale e iconografico, mentre da libero sfogo al proprio sentire nella percezione di uno spazio spirituale, inconoscibile all’uomo prima ancora che all’arte. Ne scaturisce un linguaggio suggestivo, così Lombardo e nordico a un tempo, sobrio, scarno e semplice, ma l’intesa profondità nel dettaglio e nell’insieme, dove il buio pare inghiottire una luce allagante, che riaffiora forte, sacra nei volti e nei gesti di un’umanità considerata innanzitutto come tale, nonostante il mistero che l’avvolge.
Considerata nella sua complessità questa Piccola Passione di Bordoli d’après Durer, ci appare come un’opera unitaria, intesa a rappresentare il destino dell’uomo rivissuto all’interno di quello di Cristo. É come se Bordoli avessi voluto sublimare l’esistenza individuale e il suo senso in un più ampio disegno, che Durer gli offre Nel ritmo della scansione, e la fede popolare nelle emozioni. Il partire di Cristo di vienne così quello di un’umanità intera, in cui l’artista probabilmente si colloca, intendendo l’arte come il pilastro che possa sostenere la sua stessa vita.
Echi munchiani affiorano nel senso di una morte che riscatta la vita, dandole un nuovo inizio, e nella spinta vitale che anima segni, colori, spazi dove l’indefinito suggerisce quel senso di sospensione del vuoto carica di nuovi valori espressivi.
Dall’iconografia del Durer, dunque, Bordoli trae gli ingredienti iconografici, osservati con insistenza nella loro collocazione spaziale, ma sconvolti da una forza espressiva del tutto nuova ed originale in cui gli echi munchiani si mescolano alla gestualità dell’Informe lombardo per ricomporsi in una visionarietà da un lato riconducibile ad una sensibilità mitteleuropea, in cui la figura si affranca dalla tangibilità del reale, mentre le gamme cromatiche dei colori si ampliano per dipingere anche e soprattutto ciò che non si vede, dall’altro non priva di implicanze con la Transavanguardia, per la sua propensione ad aprire nuovi orizzonti, spostando la visuale verso inclinazioni alternative di tempo e spazio, realizzando una visione plurisfaccettata del mondo esterno, al limite estremo tra distruzione e costruzione. Anche Bordoli pare impegnato in un analogo corpo a corpo con i temi della Passione, sottoposti ad una sorta di combustione unificante che vale ad intensificare la narrazione e a portarla sulla soglia difficile fra il corpo e la sua dissoluzione, fra il dolore e l’amore, fra il tutto e il nulla.

 

Paolo Biscottini